Calcio, vittoria storica per la nazionale femminile Usa: Megan Rapinoe e compagne avranno la parità salariale

Per Megan Rapinoe, Alex Morgan e compagne è l’ennesimo trofeo. Questa volta, però, è un traguardo di vita, non solo professionale. Ieri la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti ha ottenuto la parità salariale con la squadra maschile. Una battaglia lunga oltre sei anni al grido di “Equal Pay”, passata per il trionfo di Lione ai mondiali del 2019, partita in cui proprio Rapinoe segnò il gol del vantaggio sull’Olanda. Quei campionati del mondo sono stati la vetrina della rivendicazione delle calciatrici americane, capitanate, in campo e fuori, proprio dalla centrocampista.

In base all’accordo, la U.S. Soccer Federation dovrà alle ragazze statunitense anche un risarcimento di 24 milioni di dollari: 22 come arretrati e due destinati a un fondo post-carriera, da cui ogni giocatrice potrà richiedere fino a 50mila dollari. Nonostante la cifra sia di molto inferiore ai 67 milioni di dollari richiesti inizialmente, per la nazionale femminile a stelle e strisce si tratta un accordo storico. Non solo la squadra femminile guadagnerà come quella maschile, ma è stata anche riconosciuta la disparità salariale avvenuta finora.

Le giocatrici avevano accusato la Federazione di averle discriminate per il loro genere, pagandole meno della nazionale degli uomini nonostante il paragone impietoso sui successi sportivi (quattro titoli mondiali per le donne, di cui due vittorie consecutive ai mondiali in Canada e Francia; nessuno per gli uomini). Nel 2019 avevano avviato il ricorso, poi bocciato da un giudice distrettuale l’anno successivo. Le calciatrici avevano portato la questione in appello, anche con l’appoggio del presidente Joe Biden, che si è schierato dalla parte delle giocatrici arrivando a minacciare un taglio dei fondi per i mondiali maschili del 2026.

«Alla fine, ci siamo riuscite. Sono così orgogliosa del modo in cui noi giocatrici siamo rimaste unite e abbiamo puntato i piedi. Questa è una grande vittoria”, ha commentato la 36enne californiana Megan Rapinoe, campionessa in campo e attivista per i diritti Lgbt, «questo sarà uno di quei momenti incredibili che cambiano le regole per sempre, il calcio Usa è cambiato per sempre, e anche nel resto del mondo. Per noi, questa è solo una grande vittoria nel garantire che non solo correggiamo i torti del passato, ma prepariamo la prossima generazione per qualcosa che avremmo potuto solo sognare».

Filippo Gozzo

Sci, Goggia torna a vincere: sesto successo stagionale nella discesa di Cortina

Sofia Goggia in versione supersonica. Torna sulla pista Olimpia delle Tofane, a Cortina d’Ampezzo, dopo l’infortunio alla tibia che lo scorso anno l’aveva esclusa proprio dai Mondiali nella famosa località sciistica veneta. E lo fa vincendo. Quello di oggi è il sesto trionfo stagionale per la 29enne bergamasca.

La discesa dimezzata a causa del vento e la partenza da un punto più in basso non hanno impedito alla sciatrice azzurra di dominare la gara. Goggia ha disegnato linee impensabili sulla neve per combattere le sferzate dell’aria e, nonostante qualche errore, è stata comunque la più veloce. Due i decimi di vantaggio sulla seconda classificata, l’austriaca Ramona Siebenhofer, e sulla terza, la ceca Ester Ledecká. Male, invece, Federica Brignone: per la “Tigre” è solo 17esimo posto, a più di un secondo di ritardo da Goggia.

Sofia Goggia sulle Tofane durante la discesa libera, Cortina d’Ampezzo, Italia, 22 gennaio 2022. ANSA/ANDREA SOLERO

Il successo la rilancia nella classifica generale (complice l’assenza delle avversarie Mikaela Shiffrin e Petra Vlhová) e rafforza la prima posizione nella specialità di discesa libera, dopo la brutta caduta dello scorso weekend in Austria. Un pieno di fiducia in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino, al via il 4 febbraio. Goggia non ha cominciato nel migliore dei modi il suo 2022 e le ultime vittorie risalivano allo scorso dicembre in Val d’Isère. Ora la campionessa olimpica di discesa libera in carica può guardare con fiducia all’appuntamento con la manifestazione in Cina, per provare a ripetere l’impresa del 2018 a Pyeongchang, in Corea del Sud.

Fischio d’inizio di Frappart, primo arbitro donna in Champions League

Il match di Uefa Champions League Juve-Dinamo Kiev di stasera, 2 dicembre, inizierà alle 21 all’Allianz Stadium di Torino e sarà sicuramente un incontro interessante. Parlare di questa partita e di calcio su un blog femminista è importante per due motivi. Da un lato, perché è ora di abbattere lo stereotipo della donna incapace di seguire, capire e commentare una partita di calcio. Come ci sono donne che, sì, non hanno interesse per la materia, ce ne sono tante altre che sono davvero ferrate e appassionate (ne conosco diverse). Dall’altro, perché la partita di stasera potrebbe costituire, lo spero, un importante precedente per l’emancipazione femminile in ambito sportivo. Infatti, ad arbitrarla ci sarà Stéphanie Frappart, 37 anni, il primo arbitro donna a dirigere una partita di Champions League.

A parte il fatto che mi piacerebbe chiamarla “arbitra” (ma quella del “linguaggio di genere” è tutta un’altra storia), il mondo del calcio, soprattutto in ambito popolare, ha sempre opposto una certa resistenza quando si parla del binomio “donne e pallone”.
Le “icone”, i grandi “miti” di questo sport sono stati e sono maschili, anche quando a livello umano non vantano curricula altrettanto splendenti. Basti pensare a Maradona: sportivo incredibile ma uomo certamente perfettibile. E bisogna dirlo: quello dell’arbitro, che sia esso uomo o donna, è sempre un ruolo molto spinoso.  

Eppure, sembra che qualcosa stia lentamente cambiando, le donne stanno conquistando nel mondo del pallone posizioni sempre più importanti. Penso, per esempio, a Sara Gama, “capitana” della Juventus e dell’Italia femminile, che a 31 anni è diventata la prima donna vicepresidente dell’Associazione Italiana Calciatori. Il 30 novembre Gama è stata dunque chiamata a ricoprire un ruolo al vertice. Insomma, entrando “a gamba tesa”, per usare una metafora calcistica, le donne possono e devono farcela anche nel mondo del pallone.

Riguardo alla notizia sulla scelta di Frappart, i commenti sui social si sono divisi in maniera abbastanza equa: c’è chi applaude la scelta e spera, come me, che questa possa essere una “piccola grande svolta” e chi ha invece fatto obiezioni o, peggio, deriso l’arbitro, riportando in auge le classiche battute su “le donne che non vanno contraddette”, che “vogliono avere sempre ragione”, o parlando del eccesso di zelo che “sicuramente” l’arbitro avrà per dimostrare che “anche se donna” lei quel posto se lo merita.
Io credo che, per rispondere a tutte le perplessità che ciclicamente si ripresentano ogni qualvolta una donna riesce ad “intromettersi” in un ambito considerato dai più prettamente maschile, basti citare le parole di Frappart stessa. Dall’alto della sua lunga e qualificata carriera, l’arbitro ha voluto mettere a tacere qualsiasi tipo di polemica in questo modo: «La competizione tra squadre e il gioco del calcio non cambiano: rimangono gli stessi, chiunque sia l’arbitro».

Sintetica ma efficace.

Eleonora Panseri

(IM)POSSIBILI SCENARI: se Maradona fosse nato donna

Confesso i miei peccati sin da subito: non mi piace il calcio, non capirò mai il fuorigioco e non disdegno il rosa. Proprio il cliché della femmina un po’ ottusa. Fatte queste doverose premesse, mi permetto di fare lo stesso una riflessione. Negli ultimi giorni non si parla d’altro: Diego Armando Maradona ha lasciato questo mondo. Icona del nostro tempo, ha incarnato i vizi e le virtù di una società che cerca disperatamente la rettitudine ma non riesce mai a resistere al fascino della ribellione e dell’eccesso. Con mia grande sorpresa, la luce del Pibe de oro ha abbagliato anche me e mi sono fatta una domanda, forse banale: ma che vita avrebbe avuto Diego se fosse nato donna?

Il fuoriclasse argentino è nato nel 1960 in una condizione di povertà estrema. Quinto dopo quattro figlie, è stato accolto dai suoi genitori come una benedizione. Lui stesso ha avuto modo di ribadire che suo «papà estaba cansado de mujeres». Diego Maradona Senior era stanco di avere figlie, viste come una condanna. Le femmine davano preoccupazioni, bisognava trovare a tutte un marito e le occasioni di concludere un buon matrimonio si riducevano in modo direttamente proporzionale al livello di miseria in cui versavano le promesse spose. La madre stessa, forse consapevole della sorte destinata alle donne nate nella sua terra, lo venererà come un bambino prodigio anche quando sarà troppo cresciuto e segnato dai suoi tormenti.

E poi il calcio, lo sport maschile per eccellenza da sempre, negli anni ’60 non avrebbe mai potuto rappresentare l’occasione di riscatto per una giovane donna. I primi mondiali femminili si sono celebrati nel 1991, l’Argentina parteciperà per la prima volta con la sua nazionale in rosa a partire dalla seconda edizione, tenuta nel 1995 in Svezia. La scalata al successo di “Dieguita“, quindi, non sarebbe probabilmente mai iniziata. O almeno, non segnando i gol che hanno fatto sognare intere generazioni. Oltretutto a Diego, prima o dopo, è stato perdonato tutto. L’assoluzione che si concede tipicamente ai geni che, proprio grazie al loro genio, possono permettersi tutti i colpi di testa che vogliono. «La pelota fué mi salvación» dirà Armando una volta famoso e consapevole dell’opportunità immensa che il suo talento gli aveva offerto. Per le donne non funziona e non ha mai funzionato così.

Così mi è venuta in mente Tonya Harding, la prima pattinatrice statunitense ad eseguire un triplo axel. Certo, il pattinaggio artistico non è il calcio. Ma le persone sono straordinarie a prescindere dalla competizione nella quale gareggiano. E il talento è talento. Anche Tonya è nata nella miseria, dieci anni dopo Dieguito, in un Paese che a differenza dell’Argentina era ed è una potenza mondiale. La sua povertà sarà però una condanna, portata come un fardello impossibile da far volteggiare in pista. Tonya non sarà mai abbastanza: per sua madre, per essere amata, per brillare nel panorama sportivo internazionale. Nonostante abbia vinto la sua prima gara a soli quattro anni, non le verranno mai perdonati i costumi che si fabbricava da sola. E nemmeno la tenacia rovente con la quale aggrediva il ghiaccio. Determinazione scambiata per mancanza di grazia. Tonya faceva troppo rumore. Non è mai stata la presenza docile e leggera che i giudici di gara si aspettavano che fosse, pretendevano che fosse. Non ha mai incarnato la fidanzata d’America. Ed è stata duramente penalizzata. Nella vita così come in gara.

Negli anni in cui Maradona si prodigava per diventare leggenda, Harding vedeva andare in fumo la sua carriera. Quasi come se il mondo non avesse aspettato altro per farla sparire dalla scena.

Ricordo di aver sentito dire che il pubblico ha bisogno di scegliere qualcuno da amare e qualcun altro da odiare: ha scelto per l’ennesima volta di odiare una donna.

Chiara Barison

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