Women20, il summit del G20 dedicato alla parità di genere

Tre giorni dedicati ai temi dell’occupazione femminile e del divario salariale, alle strategie per il contrasto alla violenza di genere. A Roma si apre oggi Women20, il gruppo di discussione del G20 sulla parità di genere. A guidare i lavori Linda Laura Sabbadini, specializzata in statistiche di genere e presidentessa del Women20.

“Saranno presenti scienziate, economiste, donne che lottano per i diritti della propria terra, una rappresentanza ampia”, ha detto Sabbadini parlando delle ospiti che si riuniranno per “rimettere le donne al centro del cambiamento“.

In un momento storico in cui le donne sono state tra le categorie più penalizzate (la pandemia ha aumentato il carico di lavoro non retribuito e il numero di licenziamenti, ne abbiamo parlato qui), il Women20 si tiene con l’obiettivo di costruire strategie utili per il futuro che favoriscano l’imprenditoria e la leadership femminile, l’abbattimento degli stereotipi di genere e un cambiamento culturale.

Ph. Polina Zimmerman

Secondo Sabbadini, “la parità, l’empowerment femminili sono degli obiettivi strategici di fondo, l’interazione tra la politica e la società civile è centrale per raggiungerli. Abbiamo l’opportunità di realizzare il pieno potenziale delle donne. Non solo aumenterà la crescita sostenibile, ma sarà anche un imperativo per l’esistenza di società creative e inclusive, sostenute da una cittadinanza attiva. L’uguaglianza è una grande sfida che si può vincere”.

Eleonora Panseri

Mario Draghi e il rilancio del Paese: serve il «coinvolgimento delle donne»

Nel suo discorso al Senato il Presidente del Consiglio incaricato Mario Draghi ha dedicato grande spazio alla questione della parità di genere. La parola “donne” è stata infatti pronunciata ben 10 volte, superata solo da “cittadini” (11), “lavoro” (16), “pandemia” (18) e programma (19).

Draghi si è inizialmente soffermato sulle difficoltà che il genere femminile sta vivendo in conseguenza del Covid-19, sottolineando come a perdere il lavoro in questo anno di pandemia siano stati principalmente i giovani e le donne.

«La diffusione del virus ha comportato gravissime conseguenze anche sul tessuto economico e sociale del nostro Paese. Con rilevanti impatti sull’occupazione, specialmente quella dei giovani e delle donne. Un fenomeno destinato ad aggravarsi quando verrà meno il divieto di licenziamento».

Ma il Presidente ha anche sottolineato come gli squilibri nel nostro Paese siano un retaggio del passato. Una situazione che negli anni è migliorata ma sulla quale è ancora necessario fare interventi importanti e incisivi, soprattutto per quanto riguarda il gap salariale e le posizioni dirigenziali ricoperte in numero non rilevante dalle donne.

«La mobilitazione di tutte le energie del Paese nel suo rilancio non può prescindere dal coinvolgimento delle donne. Il divario di genere nei tassi di occupazione in Italia rimane tra i più alti di Europa: circa 18 punti su una media europea di 10. Dal dopoguerra ad oggi, la situazione è notevolmente migliorata, ma questo incremento non è andato di pari passo con un altrettanto evidente miglioramento delle condizioni di carriera delle donne. L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo».

Interventi sul pay gap ma anche riforme che consentano alle donne di ridurre le ore dedicate al lavoro domestico non retribuito (il 75% è a loro carico) e di non dover scegliere più tra soddisfazione professionale e vita familiare. Una critica decisamente poco velata alle quote rosae la promessa di un maggiore impegno nel garantire ad entrambi i generi le stesse possibilità e gli stessi oneri.

«Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi. Intendiamo lavorare in questo senso, puntando a un riequilibrio del gap salariale e un sistema di welfare che permetta alle donne di dedicare alla loro carriera le stesse energie dei loro colleghi uomini, superando la scelta tra famiglia o lavoro. Garantire parità di condizioni competitive significa anche assicurarsi che tutti abbiano eguale accesso alla formazione di quelle competenze chiave che sempre più permetteranno di fare carriera – digitali, tecnologiche e ambientali. Intendiamo quindi investire, economicamente ma soprattutto culturalmente, perché sempre più giovani donne scelgano di formarsi negli ambiti su cui intendiamo rilanciare il Paese. Solo in questo modo riusciremo a garantire che le migliori risorse siano coinvolte nello sviluppo del Paese».

E’ necessario fare sempre la solita premessa: le cose non cambieranno di certo da un giorno all’altro. Questo discorso però si inserisce in quell’ottica di “primi passi” che chi ci governa può e deve compiere in direzione di una maggiore inclusione del genere femminile negli interventi e nelle scelte della politica. Perché questo Paese non può essere davvero grande se esclude e limita la metà delle sue “migliori risorse”.

Possiamo dire che per l’Italia oggi è un bel giorno.

Eleonora Panseri

Qui trovate il testo integrale del discorso del Presidente.

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Crisi di governo, le ministre della discordia: Elena Bonetti

«Le mie dimissioni sono lo spazio perché questo tavolo per riprogettare il Paese, sempre rimandato, finalmente si apra. Non si può più rimandare, proprio perché siamo in crisi bisogna agire, il tema non è Conte ma la risposta politica», con queste parole il 13 gennaio 2021 Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e la Famiglia, ha rassegnato le sue dimissioni. Un gesto che di fatto ha dato inizio a un processo culminato con la rinuncia al Quirinale del presidente del Consiglio Giuseppe Conte.

Fare la ministra alle pari opportunità di un Paese fanalino di coda secondo i parametri del Gender Gap Index non dev’essere stata un’impresa facile. Oltretutto in piena pandemia.

In Italia è ancora prevalente la visione della donna solo madre o solo lavoratrice. Molte sono costrette a fare una scelta in un senso o nell’altro: non si fanno i figli per la carriera o la si abbandona per seguire i figli. In relazione a questo punto, il grande rammarico della ministra consiste nell’incapacità del governo di realizzare politiche sociali che riuscissero ad andare oltre la logica assistenziale.

Diversi sono stati i suoi interventi a proposito delle migliorie da apportare al congedo di paternità, esteso da sette a dieci giorni, e sulle misure di sostegno all’imprenditoria femminile. Da sempre dalla parte delle donne, ma buona volontà, preparazione e una squadra tutta al femminile non sono bastati all’ex ministra per fare davvero la differenza.

Elena Bonetti ha lasciato un governo che aveva in mano una bozza del Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) in cui ci sono tante belle parole come empowerment femminile, inclusione sociale e parità di genere. Ma cosa serve per trasformare le parole in realtà?

I punti dai quali non si può prescindere per un vero passo avanti nella valorizzazione della popolazione femminile sono contenuti nella lettera indirizzata a Giuseppe Conte e sottoscritta dal collettivo di donne “Il giusto mezzo”.

Al primo posto troviamo il bisogno di servizi legati alla prima infanzia: investire sugli asili nido creerebbe un circolo virtuoso e portando alla realizzazione di un altro obiettivo, il rilancio dell’occupazione femminile. Ma avere un luogo in cui lasciare i propri figli non basta. Ed ecco che entrano in gioco le varie misure di supporto fiscale che potrebbero facilitare le donne nell’accesso nel mondo del lavoro. Secondo i dati Ocse, la metà delle donne non lavora. Questo significa che solo una donna su due è occupata o cerca lavoro, mentre l’altra metà non lo cerca neppure. Il dato negativo si ripercuote sul genere delle cariche dirigenziali: le donne quadro sono meno del 10 per cento.

E così si arriva al terzo punto illustrato da “Il giusto mezzo”: l’eliminazione del gender pay gap (disparità salariale fondata sul genere, ve ne abbiamo parlato qui).

Il filo conduttore di queste richieste è dato dal giustificato astio verso i bonus. Servono riforme strutturali e capillari su tutto il territorio nazionale. Tradotto: ristrutturazioni lungimiranti e solide sul lungo termine che, a quanto pare, alla politica italiana piacciono poco.

Chiara Barison


Questo pezzo si inserisce in un progetto condiviso con i nostri compagni della Scuola di giornalismo “Walter Tobagi” di Milano e coordinato insieme ai colleghi di All’Ultimo Banco“. Di seguito trovate alcuni contributi sul tema, gli altri li potete trovare QUI.


Le diverse prospettive della crisi

Montecitorio - Roma

Innanzitutto, per districarsi tra le trame ingarbugliate e un po’ ostiche, potrebbe essere utile conoscere l’etimologia della parola crisi. Per rendersi conto poi che la tempesta parlamentare si presta bene al racconto in atti. Su il sipario!


Se il teatro non fa per voi, niente paura: la politica italiana è tutto un cinema. Colpi di scena ed effetti speciali non mancano mai, nemmeno a sale chiuse.


Storia di tormenti e shakespeariani dilemmi: la democrazia in Italia.


Questioni piuttosto noiose, bisogna ammetterlo. Cambia tutto se si trova qualcosa di positivo. Le critiche costruttive al Recovery plan ne sono un esempio.


Una crisi può essere comica? Con le meme sicuramente una risata scappa.


Crisi pandemica e crisi di governo sono collegate? Tante risposte e nessuna certezza.


Da diversi anni, la riflessione sul modo in cui il mondo dell’informazione tratta il tema delle donne al potere è spesso al centro del dibattito. Può capitare che giornali e programmi televisivi/radiofonici promuovano, il più delle volte inavvertitamente, stereotipi e narrazioni sessiste. Sull’argomento siamo state intervistate dal fondatore di “30 Penne Bianche“.

Lavoro, differenze di genere e pandemia

In un suo famoso testo, pubblicato per la prima volta il 24 ottobre 1929, la scrittrice Virginia Woolf immagina come sarebbe stata la vita di Judith, fittizia sorella di Shakespeare, altrettanto talentuosa e desiderosa di seguire la sua vocazione letteraria (lo abbiamo fatto anche noi pensando ad una versione femminile di Maradona). Il saggio, che si intitola “Una stanza tutta per sé”, è una lucida riflessione sul collegamento tra libertà intellettuale e mancanza di indipendenza economica per un genere, quello femminile, incluso nel mondo del lavoro con estrema lentezza ed enormi difficoltà.
Indipendenza economica che, a lungo negata e faticosamente conquistata, per molte oggi rischia di essere rimessa in discussione a causa della pandemia.

Secondo gli ultimi dati di Un Women, agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di emancipazione femminile, la pandemia di Covid-19 quest’anno “potrebbe spazzare via 25 anni di passi avanti nel campo dell’uguaglianza di genere”.
Essendo impiegate principalmente nel settore dei servizi, che a causa del virus ha dovuto ridimensionare o interrompere molte delle sue attività, come la ristorazione e il turismo o la moda, le donne sono quelle che hanno pagato e continuano a pagare il prezzo più alto. In Italia, l’Istat conta 470mila occupate in meno nel secondo trimestre del 2020 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso e attesta il tasso di occupazione femminile fra i 15 e i 64 anni intorno al 48,4%, contro il 66,6% di quello maschile. Negli Stati Uniti, secondo i dati del National Women’s Law Center, sono 2,2 milioni le donne che hanno perso il lavoro e almeno una donna su quattro sta valutando la possibilità di ridimensionare o abbandonare la propria carriera.

Questo perché?
Principalmente per due motivi.

Il primo è legato ad una concezione del lavoro femminile. Il “gender pay gap”, ovvero la differenza che esiste tra gli stipendi che ricevono gli uomini e le donne a parità di mansioni, porta a percepire il lavoro femminile come non essenziale nell’economia familiare. Infatti, secondo uno studio europeo, nel 2019 le donne hanno guadagnato l’11.7% in meno all’ora rispetto agli uomini. In più, i primi tagli operati dalle aziende hanno risparmiato i contratti a tempo indeterminato, spesso rivolti più agli uomini che alle donne. Molte infatti sono assunte part-time, contratti decisamente meno remunerativi ma più comodi per gestire altri impegni.


E questo ci porta a parlare dell’altro annoso problema emerso durante questa pandemia, quello del lavoro non retribuito. Se già prima dell’arrivo del virus, le donne contavano circa tre quarti dei 16 miliardi di ore di lavoro non remunerato svolte ogni giorno in tutto il mondo (cura della casa, dei figli, degli anziani della famiglia, …), adesso, come illustrano le Nazioni Unite nel loro studio, quella cifra è diventata ancora più alta. La vicedirettrice esecutiva di UN Women, Anita Bhatia ha dichiarato in un’intervista rilasciata alla BBC che esiste il ““rischio reale di tornare agli stereotipi di genere degli anni ‘50”.


Per non parlare dell’impatto che tutto questo ha sulla salute mentale delle donne. Secondo uno studio che ne ha coinvolte 10 milioni provenienti da ogni parte del mondo, i problemi di salute mentale legati alle conseguenze della pandemia hanno riguardato il 27% delle donne, a fronte del 10% degli uomini.

Il tema comunque non è passato inosservato. Se n’è parlato molto sui giornali e tanti Paesi hanno fatto dichiarazioni in merito, promettendo di impegnarsi per risolvere questo problema.
L’indipendenza economica per le donne è stata e continua ad essere un passo importante verso l’emancipazione da un genere maschile che le ha spesso considerate un fardello. Donne che sono state costrette a sottomettersi e a subire per secoli gli abusi degli “uomini della famiglia”, padri, zii, fratelli, mariti, perché incapaci di contribuire economicamente al bilancio familiare.
Speriamo davvero non si torni indietro.

Eleonora Panseri