Cosa ci ha lasciato questo 8 marzo

Un’altra Giornata internazionale dei diritti delle donne è passata e come ogni anno necessita forse di qualche momento di riflessione. Purtroppo, anche l’8 marzo 2022 è stato viziato dalla solita zuccherosa retorica “rosa”, ormai trita e ritrita. In occasione di questa ricorrenza, così importante per alcun* e così redditizia per altr*, viene profuso un impegno incredibile nel produrre un florilegio di spot, manifesti, iniziative e simili che posizionano le donne su un piedistallo dal quale vengono automaticamente spinte giù nei restanti 364 giorni dell’anno.

Come avviene anche per il 25 novembre, Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne (ricordiamo che dall’inizio del 2022 ne sono state uccise 13, l’anno scorso sono state 119), i toni usati prevalentemente sono quelli, da un lato, della “specie protetta da difendere” (le donne, per esempio, si trasformano in fiori da curare), dall’altro, delle “wonder womaninvincibili. A queste, e qui cito, “magnifiche creature” viene ricordato il loro ruolo di madri, sorelle, compagne e amiche e ci si chiede: “Che mondo sarebbe senza le donne?“.

Non abbiamo la risposta a questa domanda. Invece sappiamo bene qual è la situazione di un mondo dove le donne esistono. Secondo Eurostat, nel 2021 la retribuzione oraria delle donne europee è stata del 13% inferiore rispetto a quella dei colleghi uomini. E nello stesso anno, come si legge in un articolo de La Stampa, in Italia è stata uccisa una donna ogni 72 ore. Nel 2020 invece, secondo un’indagine condotta da Save the Children su adolescenti tra i 14 e i 18 anni, il 70% delle ragazze intervistate dichiarava di aver subito molestie nei luoghi pubblici e apprezzamenti sessuali e il 64% raccontava di essersi sentita a disagio per commenti o avance da parte di un adulto di riferimento. Nel Rapporto Donne Manageritalia 2020, poi, si legge che le donne in posizione dirigenziale erano, solo due anni fa, il 18,3% del totale, poco meno di 1 su 5. Un dato che, tuttavia, non stupisce se, nello stesso anno, le donne italiane svolgevano 5 ore e 5 minuti di lavoro non retribuito di assistenza e cura al giorno (gli uomini un’ora e 8 minuti), il 74% del totale. Ed è forse anche per questo che il 21% delle donne in età lavorativa dichiarava di non essere disponibile o di non ricercare lavoro attivamente proprio a causa dell’impegno totalizzante che la cura della casa, di bambini e anziani richiede loro.

Di fronte a questo quadro decisamente desolante (meno male che siamo nel XXI secolo, dicono alcuni), celebrare i successi delle donne non è forse così sbagliato, anzi. Farlo regalando la mimosa, poi, è senza dubbio un gesto da apprezzare. Sarebbe però ancora più bello se chi ne fa dono conoscesse anche la storia di questo simbolo. Il fiore venne scelto nel secondo dopoguerra su proposta di Teresa Mattei, ex partigiana e dirigente del Partito Comunista Italiano (PCI), in prima linea per tanti anni nella lotta per i diritti delle donne. Insieme a Rita Montagnana e Teresa Noce, scelse un fiore economico, facile da trovare anche in natura, per permettere a tutte le donne di riceverlo. «La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente», raccontò Mattei, morta nel 2013 a 92 anni, in un’intervista. «Quando nel giorno della festa della donna vedo le ragazze con un mazzolino di mimosa penso che tutto il nostro impegno non è stato vano».

È proprio dall’impegno di Mattei e delle donne di tutto il mondo che il Women’s Day nacque molti anni prima rispetto ai fatti raccontati poco sopra. Celebrata per la prima volta negli Stati Uniti del 1909, la Giornata della donna fu all’epoca un’occasione per rivendicare il diritto di voto femminile, che in quegli anni veniva negato, e maggiori tutele sindacali. La società dei consumi l’ha poi trasformata nella festa commerciale che conosciamo oggi ma in molt* è ancora forte la consapevolezza che si tratta invece di una giornata di riflessione su quanto è stato fatto o che ancora c’è da fare, una giornata che ha un profondo significato politico.

Equo salario e riforme per una più giusta divisione tra i due sessi del lavoro di cura, tutela della maternità e, allo stesso tempo, del diritto all’aborto, sono solo alcuni dei temi sui quali anche le società occidentali più “avanzate” devono ancora fare passi avanti. E se pensiamo che nel mondo le donne sono ancora vittime di violenze fisiche, psicologiche, economiche, è davvero così strano o poco lecito chiedersi a cosa servono i grandi proclami che vengono fatti in queste occasioni?

Le mimose le accettiamo volentieri, ma anche alcuni diritti in più non sarebbero male.

Eleonora Panseri

8 marzo: libri femministi che tutt* dovremmo leggere (pt. I)

Conosciuta dai più come “Festa della donna”, la Giornata internazionale dei diritti delle donne è stata istituita dall’ONU il 16 dicembre 1977. Sbagliato considerarla come un’occasione per regalare mimose e cioccolatini: l’8 marzo per molti è e per tanti altri dovrebbe essere una giornata per celebrare i successi nella lotta per la conquista della parità di genere e per riflettere su quanto ci sia ancora da fare. Proprio per questo nel post di oggi e in quello che verrà prossimamente proponiamo una serie di testi, dei “suggerimenti di lettura” più o meno impegnativi, utili a conoscere e capire la storia di quell’insieme di dinamiche e pratiche (meglio note come “patriarcato”…) che hanno impedito alle donne di realizzarsi pienamente come individui. Degli spunti di riflessione per capire cosa ancora non va e soprattutto dove si può e si deve fare sempre di più e sempre meglio.

(Parte II – Libri femministi che tutt* dovremmo leggere)


Il secondo sesso di Simone De Beauvoir (1949) e Una stanza tutta per sè di Virginia Woolf (1929): partiamo con due capisaldi della letteratura femminista, testi che non potevano assolutamente mancare in questa lista. Il primo è un lungo trattato filosofico (quasi 800 pagine) che analizza la condizione della donna da un punto di vista storico, sociale, culturale e letterario per mostrare come la tanto decantata “femminilità” non sia una condizione naturale ma un costrutto, una gabbia in cui le donne sono state per secoli rinchiuse e, di conseguenza, controllate (“Donna non si nasce, si diventa“). Secondo De Beauvoir, nel 1949 la liberazione della donna sarebbe dovuta passare dalla conquista dell’indipendenza, soprattutto economica. La stessa indipendenza reclamata vent’anni prima da Virginia Woolf che nel suo famoso saggio tratta il tema dell’esclusione delle donne dal mondo della cultura, della letteratura e, quindi, dalla storia. Per lo più relegate al mondo domestico, impossibilitate ad avere tempo, soldi e una stanza tutta per loro.


Dovremmo essere tutti femministi di Chimamanda Ngozi Adichie (2014): un saggio di poche pagine che in breve tempo è diventato un testo di riferimento per le femministe di tutto il mondo. Adattamento di un TEDx tenuto dall’autrice, questo libro invita tutti, uomini e donne, ad abbracciare la causa femminista. “C’è chi chiede: “Perché la parola ‘femminista’?” Perché non dici semplicemente che credi nei diritti umani, o giù di lì?” Perché non sarebbe onesto. Il femminismo ovviamente è legato ai diritti umani, ma scegliere di usare un’espressione vaga come “diritti umani” vuol dire negare […] che il problema del genere riguarda le donne“.


Manuale per ragazze rivoluzionarie. Perché il femminismo ci rende felici di Giulia Blasi (2018): questo libro è stato una vera e propria rivelazione. Ironico, molto arrabbiato ma anche scritto con la convinzione che tante cose possano e debbano cambiare, questo Manuale offre una serie di esempi pratici per riconoscere e combattere il sessismo (anche quello benevolo) nel quotidiano. E invita tutt* a non accettare mai quei compromessi che sembrano rendere la vita più semplice ma che, al contrario, rischiano di portare la situazione delle donne indietro di decenni: “Siamo arrivate a un punto di svolta: un punto in cui se accettiamo di giocare secondo le regole siamo finalmente ammesse alla mensa dei patriarchi per nutrirci del poco cibo che ci viene allungato. Ma il femminismo non si siede al tavolo con il patriarcato: il femminismo lo rovescia, il tavolo“.


Odio gli uomini di Pauline Harmange (2021): uscito recentemente in libreria, questo breve saggio ha scatenato il caos. Pubblicato da una piccola casa editrice, accusato di misandria e minacciato di censura dal consigliere del Ministero per le Pari Opportunità francese Ralph Zurmély, Odio gli uomini è stato distribuito in 17 paesi e ha venduto in pochissimo tempo decine di migliaia di copie. “Le donne passano un sacco di tempo a rassicurare gli uomini che no, non li odiamo. E in cambio ogni cosa resta al suo posto”: Pauline Harmange, 26 anni, volontaria in un centro per il supporto alle vittime di stupro, sfoga tutta la sua rabbia contro quel genere maschile che giustifica, tacciando le femministe di estremismo e misandria, la totale assenza di azioni concrete in favore delle donne e volte allo smantellamento del privilegio maschile. Un saggio di poche pagine ma duro, durissimo, decisamente da leggere.


Gli uomini mi spiegano le cose. Riflessioni sulla sopraffazione maschile di Rebecca Solnit (2014): vivere una vita da donne può essere faticoso e complicato. E, come descrive Solnit in questo interessante saggio, può esserlo ancora di più quando a queste capita di incontrare uomini che spiegano loro ogni cosa, invece di ascoltare, riflettere e rispettare un punto di vista diverso. Uomini che adorano “fare la paternale” in presenza di una donna per ingigantire ancora di più, se possibile, il loro già enorme ego: “Alcuni uomini spiegano le cose, a me come ad altre donne, indipendentemente dal fatto che sappiano o no di cosa stanno parlando. Mi riferisco a quell’arroganza che, a volte, mette i bastoni tra le ruote a tutte le donne, in qualsiasi settore, che le trattiene dal far sentire la propria voce e che schiaccia le più giovani nel silenzio insegnando, così come fanno le molestie per strada, che questo mondo non appartiene a loro”.


Liberati della brava bambina. Otto storie per fiorire di Maura Gancitano e Andrea Colamedici (2019): in molte delle narrazioni del passato e del presente le “donne cattive“, quelle che non si sottomettono e che si autodeterminano, sono spesso mostrate come esempi negativi. Le stesse donne che nel suo famoso podcast Michela Murgia ha meravigliosamente definito “morgane“. In questo libro, Gancitano e Colamedici scelgono otto donne e le loro storie, Era, Medea, Daenerys, Morgana, Malefica, Difred, Elena, Dina, e decidono di rileggerle in chiave femminista. Un libro per capirsi e riscoprirsi libere e potenti.


Ragazza, donna, altro di Bernardine Evaristo (2019): uscito l’anno scorso, questo romanzo raccoglie le storie di 12 donne: nere e di sangue misto, alcune appartenenti alla comunità lgbtq+, di età ed estrazione sociale molto diverse. Ognuna di loro è legata all’altra grazie ad uno splendido intreccio narrativo, anche se i vari racconti possono essere letti singolarmente. Storie dolorose, di violenza e frustrazione, e allo stesso tempo storie di riscatto e di successo. “Io non sono una vittima, non trattarmi mai come una vittima, mia madre non mi ha cresciuta per farmi diventare una vittima”, dice una delle protagoniste e in queste poche righe sta il fil rouge del testo che tratta temi importanti e attuali, come quelli della misoginia, del razzismo, dell’omofobia, in una prospettiva intersezionalista fortemente politica ma mai pesante o retoricamente vuota. Evaristo ci offre spunti di riflessione per analizzare il passato ma, soprattutto, ripensare il futuro.

Eleonora Panseri

P.s. Tra i più bei testi femministi del 2019 c’è anche il libro di Caroline Criado Perez, Invisibili. Da leggere assolutamente, ne abbiamo parlato QUI.