Europei femminili 2022, le Azzurre cercano la conferma e sognano l’impresa

Dodici mesi dopo l’impresa della Nazionale di Roberto Mancini, le Azzurre di Milena Bertolini cercano di ripercorrere le orme della squadra maschile. La finale di Uefa Women’s Euro 2022, al via il 6 luglio in Inghilterra, si giocherà ancora una volta Wembley, nello stadio dove la capitana Sara Gama vorrebbe alzare la coppa al cielo, come Giorgio Chiellini prima di lei.

All’Europeo femminile ci saranno 16 nazionali, divise in 4 gironi. L’Italia è inserita nel Gruppo D, assieme a Francia, una delle favorite per la vittoria finale, Belgio e Islanda. Le prime due squadre classificate in ogni girone passano ai quarti di finale, mentre l’ultimo atto si terrà a Londra il 31 luglio.

Dieci stadi in nove città. Si comincia il 6 luglio al Teatro dei Sogni, l’Old Trafford di Manchester, con la sfida tra l’Inghilterra, Paese ospitante, e l’Austria. Per tifare le Azzurre bisognerà attendere il 10 luglio, quando affronteranno la Francia a Rotherham. Subito un esame complicato per Gama, Girelli e compagne. Le transalpine sono terze nel ranking mondiale dietro a Usa e Svezia e sono imbattute da 16 partite, da 7 contro l’Italia. Poi sarà il turno dell’Islanda (a Manchester il 14 luglio) e del Belgio (sempre a Manchester il 18). L’obiettivo principale è passare i gironi, perché poi sognare non costa nulla.

A guidare il gruppo ci sarà lo zoccolo duro del Mondiale 2019: in difesa, davanti a Laura Giuliani, portiere del Milan, e assieme alla capitana della Juventus Sara Gama, ci sarà Elena Linari della Roma; a centrocampo la giallorossa Manuela Giugliano; in attacco le due bianconere Cristiana Girelli (miglior marcatrice azzurra con 53 reti) e Barbara Bonansea, entrambe per due anni consecutivi nella top 11 mondiale Fifa. Delle 23 giocatrici scelte da Bertolini, la Juventus Women è il club più rappresentato con 9 atlete in rosa; 4 della Roma; 3 di Milan e Fiorentina.

Tra le favorite a giocarsi la coppa a Wembley c’è l’Inghilterra padrone di casa della stella del Chelsea Fran Kirby, che vuole cancellare la delusione maschile della scorsa estate. La Germania è a secco dalle Olimpiadi di Rio 2016, mentre negli ultimi anni la Spagna ha dimostrato di aver fatto enormi passi avanti e di potersela giocare con tutte, anche se l’infortunio della Pallone d’Oro Alexia Putellas potrebbe essere un macigno sul percorso delle Furie Rosse. Ovviamente ci sono Svezia, reduce dall’argento a Tokyo 2020 e seconda nel ranking Fifa, e la Francia, che ha giocatrici di livello mondiale e non vuole fallire l’appuntamento. Senza dimenticare l’Olanda campione in carica e finalista agli ultimi Mondiali. Danimarca, Norvegia (con la ritrovata Pallone d’Oro 2018 Ada Hegerberg, che aveva abbandonato la sua nazionale per protesta contro i salari bassi) e, appunto, Italia, possono essere le outsider del torneo e puntare alla finale.

Per le Azzurre si tratta della tredicesima partecipazione (unica assenza nel 1995). Non hanno mai vinto, ma hanno collezionato due secondi posti nel 1993 e nel 1997 con il commissario tecnico Sergio Guenza.

L’atmosfera è elettrica. Uefa Women’s Euro 2022 si appresta a diventare il più grande evento sportivo europeo femminile della storia, con un giro di affari che si stima attorno ai 63 milioni di euro nelle città ospitanti. L’affluenza prevista è senza precedenti per il calcio femminile in Europa. La partita inaugurale e la finale sono già sold out. Televisioni di tutto il mondo avranno i fari puntati sul torneo e i telespettatori potrebbero toccare il 250 milioni in più di 195 Stati. In Italia tutte le partite dell’europeo femminile potranno essere seguite sulle reti Rai, in streaming sulla piattaforma RaiPlay, sui canali di Sky e su Now. Un segnale che testimonia i progressi del calcio femminile e un interesse sempre maggiore.

Un evento da seguire per sognare il coronamento del percorso di crescita del movimento dopo lo splendido quarto di finale giocato ai Mondiali 2019. E per sostenere il calcio femminile italiano, che dalla stagione 2022/2023 ha vinto la battaglia per vedersi riconosciuto lo status del professionismo.

Filippo Gozzo

Calcio femminile, svolta storica in Italia: diventerà professionistico da luglio 2022

Le calciatrici italiane hanno (finalmente) vinto un diritto. Il 26 aprile 2022, il Consiglio Federale della Figc ha ufficialmente equiparato le giocatrici di calcio donne agli uomini, modificando le norme e sancendo il passaggio al professionismo per la Serie A femminile a partire dalla prossima stagione. “Dal primo luglio inizia il percorso del professionismo del calcio femminile, siamo la prima federazione in Italia ad avviare e ad attuare questo percorso”, ha detto il presidente Gabriele Gravina.

Una decisione che è arrivata non senza qualche resistenza. Durante la votazione, la Lega Serie A (rappresentata dal presidente Lorenzo Casini e dai consiglieri federali Claudio Lotito e Beppe Marotta) si è espressa contraria, nonostante la propria assemblea interna fosse d’accordo con il procedere in modo positivo. Solo un “malinteso“, ha spiegato Lotito, mentre Gravina ha assicurato che tutti erano d’accordo, con qualche piccola resistenza e proposta di rinvio. La votazione è stata poi ripetuta con il sì finale della Lega di A. “È un punto di partenza che ci spinge a lavorare con grandissimo impegno per raggiungere e garantire nel tempo la sostenibilità di tutto il nostro sistema” ha commentato Ludovica Mantovani, presidente della Divisione Calcio Femminile.

Non può essere considerato un punto di arrivo, ma è comunque il primo traguardo di un percorso cominciato più di due anni fa, dopo le grandi prestazioni delle Azzurre ai Mondiali di Francia 2019. In questo periodo il calcio femminile ha iniziato a ottenere i primi risultati importanti. Nel 2019, Juventus-Fiorentina si era giocata davanti alle 40mila persone dello Stadium. L’anno successivo era stata la volta di Milan-Juventus a San Siro, seppur vuoto a causa della pandemia, un ostacolo che ha rallentato la crescita del calcio femminile. Il movimento è ancora indietro rispetto a quelli di altri Paesi, come quelli scandinavi e il Regno Unito. In Spagna, sulle tribune di un Camp Nou tutto esaurito per Barcellona-Real Madrid di Women’s Champions League c’erano 90mila persone. L’Ajax e la nazionale olandese riconoscono la parità di prestazione tra uomini e donne e lo stesso avviene in Brasile. A febbraio 2022 negli Stati Uniti, Megan Rapinoe e compagne hanno ottenuto la parità salariale e un risarcimento per la discriminazione di genere subita in questi anni.

Oltre al professionismo, dal 2022-23 il campionato di Serie A femminile avrà anche un nuovo format, già adottato in Austria, Belgio, Danimarca e Repubblica Ceca. Lo scudetto e la retrocessione si decideranno con un torneo a eliminazione diretta. Le dieci squadre della massima serie, disputeranno una prima parte di stagione con gare di andata e ritorno per un totale di 18 giornate. Successivamente le prime cinque della classifica accederanno a una poule scudetto, con il palio il titolo di Campione d’Italia e l’accesso alla Women’s Champions League (prima e seconda classificata). Le restanti cinque, invece, si giocheranno la salvezza: l’ultima retrocede direttamente in Serie B e la penultima dovrà giocarsi la salvezza in una gara di play out contro la seconda del campionato cadetto.

Filippo Gozzo

Calcio, vittoria storica per la nazionale femminile Usa: Megan Rapinoe e compagne avranno la parità salariale

Per Megan Rapinoe, Alex Morgan e compagne è l’ennesimo trofeo. Questa volta, però, è un traguardo di vita, non solo professionale. Ieri la nazionale di calcio femminile degli Stati Uniti ha ottenuto la parità salariale con la squadra maschile. Una battaglia lunga oltre sei anni al grido di “Equal Pay”, passata per il trionfo di Lione ai mondiali del 2019, partita in cui proprio Rapinoe segnò il gol del vantaggio sull’Olanda. Quei campionati del mondo sono stati la vetrina della rivendicazione delle calciatrici americane, capitanate, in campo e fuori, proprio dalla centrocampista.

In base all’accordo, la U.S. Soccer Federation dovrà alle ragazze statunitense anche un risarcimento di 24 milioni di dollari: 22 come arretrati e due destinati a un fondo post-carriera, da cui ogni giocatrice potrà richiedere fino a 50mila dollari. Nonostante la cifra sia di molto inferiore ai 67 milioni di dollari richiesti inizialmente, per la nazionale femminile a stelle e strisce si tratta un accordo storico. Non solo la squadra femminile guadagnerà come quella maschile, ma è stata anche riconosciuta la disparità salariale avvenuta finora.

Le giocatrici avevano accusato la Federazione di averle discriminate per il loro genere, pagandole meno della nazionale degli uomini nonostante il paragone impietoso sui successi sportivi (quattro titoli mondiali per le donne, di cui due vittorie consecutive ai mondiali in Canada e Francia; nessuno per gli uomini). Nel 2019 avevano avviato il ricorso, poi bocciato da un giudice distrettuale l’anno successivo. Le calciatrici avevano portato la questione in appello, anche con l’appoggio del presidente Joe Biden, che si è schierato dalla parte delle giocatrici arrivando a minacciare un taglio dei fondi per i mondiali maschili del 2026.

«Alla fine, ci siamo riuscite. Sono così orgogliosa del modo in cui noi giocatrici siamo rimaste unite e abbiamo puntato i piedi. Questa è una grande vittoria”, ha commentato la 36enne californiana Megan Rapinoe, campionessa in campo e attivista per i diritti Lgbt, «questo sarà uno di quei momenti incredibili che cambiano le regole per sempre, il calcio Usa è cambiato per sempre, e anche nel resto del mondo. Per noi, questa è solo una grande vittoria nel garantire che non solo correggiamo i torti del passato, ma prepariamo la prossima generazione per qualcosa che avremmo potuto solo sognare».

Filippo Gozzo

Sci, Goggia torna a vincere: sesto successo stagionale nella discesa di Cortina

Sofia Goggia in versione supersonica. Torna sulla pista Olimpia delle Tofane, a Cortina d’Ampezzo, dopo l’infortunio alla tibia che lo scorso anno l’aveva esclusa proprio dai Mondiali nella famosa località sciistica veneta. E lo fa vincendo. Quello di oggi è il sesto trionfo stagionale per la 29enne bergamasca.

La discesa dimezzata a causa del vento e la partenza da un punto più in basso non hanno impedito alla sciatrice azzurra di dominare la gara. Goggia ha disegnato linee impensabili sulla neve per combattere le sferzate dell’aria e, nonostante qualche errore, è stata comunque la più veloce. Due i decimi di vantaggio sulla seconda classificata, l’austriaca Ramona Siebenhofer, e sulla terza, la ceca Ester Ledecká. Male, invece, Federica Brignone: per la “Tigre” è solo 17esimo posto, a più di un secondo di ritardo da Goggia.

Sofia Goggia sulle Tofane durante la discesa libera, Cortina d’Ampezzo, Italia, 22 gennaio 2022. ANSA/ANDREA SOLERO

Il successo la rilancia nella classifica generale (complice l’assenza delle avversarie Mikaela Shiffrin e Petra Vlhová) e rafforza la prima posizione nella specialità di discesa libera, dopo la brutta caduta dello scorso weekend in Austria. Un pieno di fiducia in vista delle Olimpiadi invernali di Pechino, al via il 4 febbraio. Goggia non ha cominciato nel migliore dei modi il suo 2022 e le ultime vittorie risalivano allo scorso dicembre in Val d’Isère. Ora la campionessa olimpica di discesa libera in carica può guardare con fiducia all’appuntamento con la manifestazione in Cina, per provare a ripetere l’impresa del 2018 a Pyeongchang, in Corea del Sud.

La rivoluzione dei videogiochi: gli Esports sempre più al femminile

Una damigella rapita e un eroe che combatte contro il cattivo per salvarla. Una trama che si è ripetuta per anni nel mondo dei videogiochi, come Super Mario e Donkey Kong. Ma oggi, davanti allo schermo e con le dita sul gamepad, ci sono sempre più ragazze.
«Esiste un falso mito: si pensa che il gaming sia un’attività principalmente maschile. Invece, ci sono sei milioni di appassionati di Esports e di questi il 39 per cento è donna. È una percentuale che in tante discipline sportive tradizionali non si trova», spiega Luigi Caputo, cofondatore dell’Osservatorio italiano Esports. Dal 2019, la piattaforma si occupa di ricerche dati di mercato e di formazione e informazione per le aziende che vogliono investire in questo settore.

La pandemia ha influito sull’ampliamento al femminile della fanbase e ha accentuato l’avanzamento progressivo dell’ultimo periodo. «Abbiamo passato un anno chiusi in casa. Le persone cercano di svagarsi e così anche molte donne», analizza Michela “Banshee” Sizzi, gamer professionista di Bergamo che ha disputato diversi campionati italiani a Milano. Dello stesso parere anche Miryam Saidi, 25 anni, pro-player meneghina: «I videogiochi piacciono e basta, non c’è più lo stereotipo del nerd. Con l’arrivo di grandi eventi è diventato normale che anche le donne li seguano».

Nonostante l’avvicinamento agli Esports del pubblico femminile, all’interno del mondo dei videogiochi resta palpabile la diffidenza della componente maggioritaria maschile. Un atteggiamento che spesso si esprime attraverso forme di sessismo, discriminazione e misoginia. «Su Overwatch, che è un gioco di squadra 6 vs 6, mi è capitato che i ragazzi nel mio team si accorgessero che ero donna e mi facessero perdere apposta», racconta “Banshee”, «lo stesso succede su Rainbow Six o Call of Duty, dove i compagni si rivoltano contro di te perché sei donna». «C’è molta aggressività e a volte non ti lasciano nemmeno parlare al microfono», commenta Saidi, «l’essere una ragazza è la prima cosa su cui vengo attaccata dal giocatore “medio”». Lo stesso non avviene, invece, con il gamer agonistico, che è abituato a vincere o perdere e ha una mentalità professionale.

«Quella del gaming è una community che spesso risulta tossica. Molte ragazze si nascondono dietro a pseudonimi, usano nomi maschili per giocare nelle live o scrivere nelle chat. Per una donna è difficile esprimere la sua passione per i videogiochi», spiega Fjona Cakalli, blogger, tech influencer e conduttrice della eSerie A Tim, la competizione calcistica virtuale di Fifa e Pes promossa dalla Lega Serie A.

Di origini albanesi, Cakalli si è trasferita a Milano da piccola, assieme al suo Nintendo Nes. Da allora non ha mai smesso di giocare, una passione che è cresciuta fino a diventare un lavoro. «Mi piace raccontare storie e recensire videogiochi. Mi sono proposta ad alcuni siti che parlavano di gaming ma sono stata respinta», racconta Cakalli, «mi dicevano che non ero pronta, che non ne sapevo abbastanza ma nessuno mi dava la possibilità di informarmi. Quindi, ho aperto un blog per divertirmi». L’esperimento nato nel 2011 si chiamava Games Princess. La particolarità? Era un sito di videogiochi con una gestione interamente al femminile: «Ho conosciuto ragazze che volevano scrivere. Siamo state accusate di “autoghettizzarci”, ma in realtà era un modo per proteggerci. Molte hanno utilizzato il sito come porto sicuro», afferma la blogger.

Il numero di appassionate di Esports è aumentato nell’ultimo anno ma non dal punto di vista agonistico. «Bisogna fare una distinzione tra player competitivo e streamer o content creator», analizza Luigi Caputo, «le streamer donna sono tante e anche famose. A livello competitivo, invece, ci sono molti più uomini».

A Milano, le professioniste si contano sulle dita di una mano. «Non siamo spinte a provare seriamente a diventare gamer. Molte ragazze giocano per divertimento. Ma quelle che vogliono raggiungere un obiettivo partono svantaggiate», spiega Saidi, «all’inizio anche io ho provato a cercare un team ma nessuno ha voluto farmi fare un tentativo “per non rovinare l’ambiente all’interno della squadra”».

Ma questa è solo una delle giustificazioni che impedisce alle ragazze di provare una carriera professionistica. Spesso le gamer non trovano sponsor perché il pubblico del settore non è pronto a gestire il fatto che una donna possa competere contro un uomo. Di conseguenza, nascono anche tornei divisi per genere, nonostante negli Esports non esista una differenza di prestazione fisica che, invece, potrebbe essere presente negli sport tradizionali. «È un male necessario», afferma Cakalli, «creare team femminili è un modo per puntare il faro. Partecipare a campionati per sole ragazze dà l’opportunità di farsi conoscere, per poi entrare in squadre miste». «Sono sempre stata molto contraria», ammette Saidi, «finché non li ho guardati da un punto di vista diverso. È come se si stesse cercando di normalizzare il fatto che le donne giocano agli Esports. Si cerca di introdurle facendole giocare fra di loro, per farle sentire più a loro agio».

In ambito competitivo, come in quello lavorativo della vita quotidiana, emerge la questione degli ingaggi. In Italia non si possono ancora fare bilanci sulle differenze reali di stipendi tra player maschili e femminili perché il mercato non è ancora così sviluppato e i contratti non sono ancora così remunerativi. Ma avvicinare il pubblico femminile agli eventi di Esports (e al gaming più in generale) è uno degli obiettivi di business delle aziende e degli organizzatori per ampliare la platea degli appassionati. Un esempio è quello delle fiere del videogioco, che da tempo hanno eliminato la figura delle booth babes, le ragazze in top e shorts che avevano il compito di attirare gente agli stand.


Per normalizzare il fatto che le donne si occupino di videogiochi e tecnologica si deve partire dalla formazione, soprattutto quella scolastica. «Per creare parità c’è bisogno di strategie mirate», conclude Cakalli, «a scuola cercavo di condividere con le amichette la mia passione per i videogiochi, ma mi sentivo un alieno. Avevo solo amici maschi perché con le ragazze non avevo un interesse comune. Ma le donne possono essere coinvolte già da piccole per dire loro che è normale amare i videogiochi, le scienze e la tecnologia».

Filippo Gozzo

Ora il calcio è donna anche in Arabia Saudita

di Filippo Gozzo, VAR Sport

Non è solo calcio. Lo sport dimostra la sua essenza quando permette il raggiungimento di traguardi umani e sociali che vanno oltre la semplice competizione. E questo è ancora più vero quando ciò accade in Paese non così storicamente propenso alla modernizzazione come l’Arabia Saudita. Il 17 novembre scorso le calciatrici arabe hanno dato il primo giro al pallone della Saudi Women’s Football League, il primo campionato di calcio femminile nella storia del Paese. Un evento storico che coincide con un processo di emancipazione delle donne che prosegue da anni in Arabia Saudita. Era solo il gennaio 2018 quando venne concessa la partecipazione femminile negli stadi, segno che la strada da percorrere è ancora molta.

«Il successo nel torneo di tutte le sorelle che partecipano alla WFL è un passo nella giusta direzione per raggiungere il nostro sogno di universalità e per rappresentare la nostra patria al mondo esterno», ha twittato Riyan Al-Jidani, giornalista sportivo saudita, «Alzare la bandiera sul campo è una gloria e un orgoglio». La prima giornata avrebbe dovuto giocarsi lo scorso marzo, ma a causa della pandemia da Covid-19 l’appuntamento con la storia è stato rinviato. Sono più di 600 le giocatrici divise nelle 24 squadre che lotteranno per chiudere il campionato al primo posto, per sollevare la coppa e vincere il premio finale di 500 mila riyal sauditi (poco più di 110 mila euro). Le partite si giocheranno tra Riyad, Gedda e Dammam, ma non saranno trasmesse in diretta tv, un altro muro che dovrà essere abbattuto nei prossimi anni.

Le calciatrici della Saudi Women’s Football League durante un allenamento

Amal Gimie, oggi 26enne centrocampista eritrea dello Jeddah’s Kings United e laureata in sistemi informativi gestionali, entrò nella sua prima squadra di calcio femminile, la Challenge di Riyadh, nel 2014. Mai avrebbe pensato di poter partecipare ad un torneo professionistico. «Ero felice ma allo stesso tempo sapevo che giocare in un campionato ufficiale era un obiettivo irraggiungibile. Mi sentivo come se stessi invecchiando senza ottenere nulla», aveva detto Gimie al sito Arab News. Ora, invece, il sogno della calciatrice eritrea può diventare realtà.

«Questo è un giorno molto felice per tutti gli atleti, maschi e femmine», ha commentato l’allenatore e giornalista sportivo Abdullah Alyami, «E sulla base di ciò che abbiamo visto e di quanto sia amato il calcio in tutto il Regno, credo che vedremo molte altre nostre sorelle impegnate nello sport professionistico».

Ogni persona che, come chi scrive, vive di sport non può che augurarsi che l’Arabia Saudita bruci le tappe in un processo giusto e quanto mai necessario. Perché di sport si vive, per le emozioni che regala, per le storie che racconta.