Texas, aborto vietato dopo la sesta settimana

Il governatore repubblicano del Texas Greg Abbott ha annunciato la firma di una legge che modifica in senso restrittivo il diritto di aborto: da settembre 2021 in Texas non sarà più possibile abortire trascorse le sei settimane di gestazione.

Sono previste eccezioni nel caso in cui la gravidanza sia frutto di incesto o stupro. La legge texana si basa sul principio del cosiddetto heartbeat bill (legge del battito cardiaco) che individua nella sesta settimana di gravidanza il momento in cui il cuore del feto inizia a funzionare autonomamente.

Nonostante negli Stati Uniti l’aborto sia legale a livello federale – in base a quanto stabilito dalla Corte Suprema nella sentenza Roe v. Wade del 1973 – ogni singolo Stato ha potere discrezionale nella determinazione dei criteri e dei limiti.

Il Texas però non è il solo: Kentucky, Mississippi, Ohio e Georgia sono solo alcuni degli Stati che prevedono le stesse regole.  Secondo il Guttmacher Institute solo nel 2021 sono state introdotte più di 60 restrizioni all’accesso all’aborto in più di quindici Stati.

Sempre secondo le ricerche del Guttmacher Institute, le restrizioni del diritto di aborto non corrispondono a una riduzione effettiva delle interruzioni di gravidanza: negli ultimi 30 anni le gravidanze interrotte in Paesi poco tolleranti sono state più che nei Paesi maggiormente liberali. Complessivamente, il 61% delle gravidanze indesiderate sono culminate nell’Ivg. A prescindere dalla legislazione vigente.

La domanda sorge spontanea: non si fanno più figli perché c’è l’aborto? Oppure perché le politiche sociali a favore della maternità sono ineffettive? E ancora, siamo tutte tenute a diventare madri? Forse è ora di partire da un’adeguata educazione sessuale, comprensiva di una riflessione sulla salute riproduttiva delle donne. I numeri dimostrano che quando viene garantito l’accesso ai contraccettivi, gli aborti diminuiscono. Inoltre, è il caso di eliminare la narrativa tossica che dipinge le donne che abortiscono come giovani disinibite che non vogliono assumersi la responsabilità di un’eccessiva libertà sessuale: il 59% di chi ricorre all’Ivg è già madre di almeno un figlio. La retorica non regge.

Chiara Barison

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